Crippled Black Phoenix - (Mankind) The Crafty Ape

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Perennial Quest
view post Posted on 8/2/2012, 13:26     +1   -1




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Anno di uscita: 2012

TRACKLIST:
1. Chapter I (A Thread): Nothing (We Are...)
2. Chapter I (A Thread): The Heart of Every Country
3. Chapter I (A Thread): Get Down and Live With It
4. Chapter I (A Thread): (In the Yonder Marsh)
5. Chapter I (A Thread): A Letter Concerning Dogheads
6. Chapter I (A Thread): The Brain / Poznan
7. Chapter II (The Trap): Laying Traps
8. Chapter II (The Trap): Born In a Hurricane
9. Chapter II (The Trap): Release the Clowns
10. Chapter II (The Trap): (What?)
11. Chapter III (The Blues of Man): A Suggestion (Not a Very Nice One)
12. Chapter III (The Blues of Man): (Dig, Bury, Deny)
13. Chapter III (The Blues of Man): Operation Mincemeat
14. Chapter III (The Blues of Man): We Will Never Get Out This World Alive
15. Chapter III (The Blues Of Man): Faced With Complete Failure, Utter Defiance Is The Only Response

Genere:

Progressive Rock/Hard Rock/Blues Rock/Post-Rock

Line Up:

Justin D Greaves
Karl Demata
Christian Heilmann
Mark Furnevall

Label: Mascot Label Group


A distanza di soli due anni dallo splendido "I, Vigilante" tornano in scena i Crippled Black Phoenix con il nuovo album "(Mankind) The Crafty Ape", uscito ad inizio 2012. Con la release precedente, il gruppo ha ufficialmente avviato il processo di trasformazione in una prog/hard rock band, sempre più floydiana: e "(Mankind) The Crafty Ape" ne è la conferma. I membri della band riprendono la tradizione del pubblicare un doppio album (anche se limitare "I, Vigilante" a 42 minuti non è stata una scelta malvagia) a regalare ai propri fan quasi 87 minuti di musica.

L'album si divide in tre parti diverse. La prima si intitola "Chapter I – A Thread", che viene introdotta dalla voce robotica e dalla rabbia di "Nothing (We Are...)", subito repressa con la canzone successiva, forse uno dei punti più alti dell'album: "The Heart Of Every Country". Un'introduzione tipicamente prog, quasi floydiana per l'appunto, è solo l'inizio di questo capolavoro, che si trasformerà in un ottimo hard prog, con tanto di tastiere usate per aumentare il pathos e assoli alla David Gilmour. Anche le vocals hanno chiaramente un sapore psichedelico, e questo contribuisce ad aumentare la qualità della canzone. Un coro di voci femminili porta alla terza traccia, che inizia molto similmente a "Rise Up And Fight" (precedente tributo della band a "One Of These Days" dei Pink Floyd), mutando poi in un hard rock con batteria e basso martellanti a sostenere un angosciante cantato nelle strofe e un ottimo coro nel ritornello, il tutto condito con tastiere e chitarre che abbelliscono il pezzo con arpeggi e accordi fulminanti. Dai quattro minuti in poi il pezzo muta in un post-rock à la Mogwai, con tanto di arpeggi di chitarra in crescendo.
"(In The Yonder Marsh)" è il primo dei brani di passaggio dell'album, e si rivela un ottima composizione ambient/drone, con tanto di percussioni e campane che si inseriscono in vari momenti del pezzo, che alla fine lasciano il posto al brano successivo, che ha il compito di chiudere la prima delle tre parti dell'opera. "A Letter Concerning Dogheads" inizialmente suona molto hard 'n'heavy, con tastiere quasi a ricordare il buon organo Hammond dei tempi migliori. Ma è nella seconda parte che il pezzo diventa migliore, grazie alle influenze prog/post. Dissonanze inaspettate ed una nota ripetuta fino alla fine della canzone costituiscono l'outro di "A Letter Concerning Dogheads", un altro punto in cui la musica diventa più sentita. "The Brain / Poznan" conclude "A Thread", unendo hard, prog e post-rock in una miscela che sorprende l'ascoltatore, varia ed altalenante; da segnalare la presenza delle tastiere che danno una buonissima evoluzione al pezzo.

"Laying Traps" inizia la seconda parte dell'album, "Chapter II – The Trap", una canzone tipicamente hard rock '70, e al tutto aggiungete pure lo stile vocale di Matthew Bellamy. "Born In A Hurricane" e "Release The Clowns" proseguono sulla stessa scia, ed è possibile notare che questa parte è meno elaborata e più diretta della precedente, tipicamente Zeppeliniana e con assoli blues-oriented (in particolare in "Release The Clowns"). "(What?)" è un altro intermezzo, in cui suonano solo due banjo e percussioni che concludono felicemente il secondo capitolo di "(Mankind) The Crafty Ape".

E così comincia il secondo disco, e con il secondo disco anche la terza ed ultima parte di quest'opera che sorprende sempre di più, "Chapter III – The Blues Of Man". "A Suggestion (Not A Very Nice One)" è solo l'inizio dei 35 minuti del secondo disco, e come partenza promette davvero bene. Hard rock lento e ben scandito da una batteria onnipresente e da chitarre che si lanciano in pericolose parti solistiche, molto sperimentali benché restino sempre e comunque tipicamente rock, e l'assolo conferma tutto ciò.
"(Dig, Bury, Deny)" è il terzo ed ultimo brano di passaggio dell'album, un buon pezzo folk che rievoca le terre desolate d'America, quasi una colonna sonora di un film western. E il meglio deve ancora venire: "Operation Mincemeat" si distacca dai lidi hard rock sperimentati precedentemente per approcciarsi come una ballata post-rock. Arpeggi di chitarra, tastiere sempre atmosferiche e linee vocali perfette sono solo alcuni degli ingredienti che caratterizzano la canzone, a delineare sette minuti di ottima fattura.
"We Will Never Get Out This World Alive" è un brano strumentale tastieristico, post-rock che gioca il ruolo di preludio al quarto d'ora di "Faced With Complete Failure, Utter Defiance Is The Only Response", senz'altro la canzone più imponente dell'album, composizione di stampo chiaramente post/prog. Un'introduzione solenne che occupa ben quattro minuti di questa suite ci lancia in un mondo fantasy come solo i capolavori del rock progressivo sanno fare. In seguito le atmosfere si fanno più malinconiche a formare un invidiabile depressive rock in crescendo a segnare il capolavoro dell'album. Infatti qui i synth vari alla "Shine On You Crazy Diamond" lasciano lentamente il posto a chitarre decisamente più pesanti supportati sempre da un ottimo Hammond ad accompagnarle. E il finale dice tutto ciò che può dire, risultando più epico che mai... e all'improvviso ci sono due minuti di silenzio per far comprendere all'ascoltatore che ciò che ha appena ascoltato è finito per sempre, quasi a segnare una pausa di riflessione.

Dal modo in cui si presenta l'album, sembra che i Crippled Black Phoenix siano una cover band dei Pink Floyd, dei Led Zeppelin e di altri gruppi dei '70: no, non è affatto così, la personalità della band è sempre presente in ogni passaggio dell'album; e la genialità dei membri sta proprio nel rielaborare in chiave moderna quanto già detto nel passato, ripescando tanti gruppi indimenticati.
"(Mankind) The Crafty Ape" risulta così un'ulteriore conferma del valore del gruppo. Consigliato a chi vuole provare nuove emozioni ascoltando un disco che sarebbe potuto uscire benissimo 40 anni fa. E perché no, potrebbe essere annoverato tra i migliori album dell'anno, chissà. Chapeau, Crippled Black Phoenix.

Voto: 8m
 
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