IRON MAIDEN -
PowerslaveEMI - 1984
Line-up:
- Bruce Dickinson: voce
- Adrian Smith: chitarra e voce
- Dave Murray: chitarra
- Steve Harris: basso e voce
- Nicko McBrain: batteria
Anno di grazia 1984. Ronnie James Dio rilascia il suo bellissimo lavoro solista "The Last In Line", i Judas Priest inventano una sotto-categoria di metal-heads con il loro "Defenders Of The Faith", i Deep Purple deliziano i rockers classici con "Perfect Strangers" e i Van Halen spadroneggiano nelle chart con "Jump". Poteva Steve Harris rimanere a casa durante un simile idillio??
"Powerslave" è il quinto lavoro degli Iron Maiden ed il secondo inciso con la formazione Dickinson\Murray\Smith\Harris\Mc Brain. Registrato presso i Compass Point Studios nelle Bahamas, è il disco che consentì alla band d'oltremanica di lanciarsi in un estensivo (ed estenuante) tour da cui fu tratto poi il famoso
Live After Death (praticamente il live metal anni '80 stilisticamente più importante).
Il suono in generale somiglia a quello del suo predecessore,
Piece Of Mind, anche se le melodie e alcune "trovate" sono inedite, forse a causa dell'ispirazione "egizia" che ha adottato la band in questa sede.
La duranta complessiva supera di poco i tre quarti d'ora ed è forse proprio per questo che il disco presenta pochi momenti di noia. Andremo ora a esaminare ogni singola traccia.
ACES HIGH (Harris)
Assalto all'arma bianca per questo anthem di raid aerei svettato da un cantato austero. I power-chord sono meno stereotipati e la soluzione portante appare più solida ed efficace. Nicko dona la giusta dinamicità al brano e Steve Harris contribuisce con la sua malta bassistica. La sfida in cui si lanciano i due axe-man vede uscire vincitore Adriam Smith, ottimo alunno della cretività prima, e degli intervalli sulla chitarra poi.
2 MINUTES TO MIDNIGHT (Smith/Dickinson)
Narrante le inquetutidini di un presunto orologio atomico fermo, appunto, ad un paio di minuti prima della mezzanotte, "2 Minutes To Midnight" è il manifesto sonoro degli Iron in formazione "classica". Il famoso riff centrale (in realtà rubato agli Accept di "Flash Rockin' Man" per circa il 50%) si domostra il nucleo-fondamenta del brano. Il secondo brano di
Powerslave conferma la premita ditta Smith/Dickinson come compositivamente abile e fautrice di una traccia che (a ragione) si impone come cavallo di battaglia della british band.
LOSFER WORDS (BIG 'ORRA) (Harris)
Il brano meno ispirato del disco è uno strumentale di circa 4 minuti manieristico e compisitavamente davvero banale, chiaro tentativo di allungare la solfa. L'interlude non sarebbe neanche malvagio, ma è purtroppo come un' ilusione nel deserto. Deserto in cui si troverà decisamente di meglio.
FLASH OF THE BLADE (Dickinson)
Il riff in Hammer On-Pull Off posto in apertura è tanto semplice tecnicamente quanto efficace. L' atmosfera del brano a dirla tutta è abbastanza incostante. Ora chiusa e malvagia (riff già citato e riffing nelle strofe) ora simil-scanzonata e più "aperta" (chorus e parti melodiche).
Le liriche sono molto belle e vanno apprese a pieno, così come il lato musicale. By the way... la parte più interessante è proprio il riff principale, usato poi sapentemente dal regista Dario Argento nel suo film "
Phenomena" uscito l'anno dopo.
THE DUELLISTS (Harris)
Il solo Harris è fautore del brano, mid-tempo slegato liricalmente dal contesto "egiziano" (almeno ad una normale interpretazione).
L'andamento è discreto ma il riffing è stanco e indebolito da una piccola dose di manierismo che dovrebbe sempre essere bilanciata da un apporto creativo positivo. Per fortuna le chitarre si svegliano per i soliti convenevoli solisti e per le bellissime melodie esotiche, sorrette da una base ossessiva e ipnotica, puro concetrato di energia maideniana mid-eighties.
BACK IN THE VILLAGE (Smith/Dickinson)
Incipit solista selvaggio come opening?? Funziona alle grande e siamo felici che i nostri abbiano optato per questa formula.
Il lick sorregge anche le strofe, prima che il bridge e il ritornello prendano il loro posto con semplici accordi (il primo) o riff melodici (il secondo). Carino il primo solo di Dave Murray, ma non c'è nulla da fare; la carica rock di Smith ombreggia qualsiasi tecnicismo in legato della controparte.
POWERSLAVE (Dickinson)
Finalmente il monumento egizio a lungo invocato. Suono di percussioni in lontanza per aprire un mid-tempo esoterico, sorretto da un riff malvagio e contornato da vocalizzi che accompagnano la melodia principale, pronunciati con un fare subliminale proprio di altri tempi.
La scala minore armonica spadroneggia a destra e a manca, impreziosendo ogni singolo anfratto, almeno prima di essere sostituita dal solito Murray style nel break melodico in
clean centrale, carico di un pathos che davvero ha pochi euguali nella storia della musica metal tutta.
Ottimi i solismi di Dave, che qui pare più consapevole dei propri difetti, evitandoli.
RIME OF THE ANCIENT MARINER (Harris)
La Mona Lisa dei Maiden più epici e prolissi. Il David della musica più pensate del pianeta. L' esatta trasposizione in musica dell' omonimo racconto di Samuel Taylor Coleridge.
Questo e anche di più è "Rime Of The Ancient Mariner". Mai i nostri avevano osato tanto, e quando decisero di farlo, ecco il risultato. Tredici minuti di espressione pura, in cui un Bruce Dickinson versione narrastorie metallico scorrazza sardonico tra le travi di una nave sorretta da
Fender,
Lado e
Gibson customizzate, in uso come antichi strumenti pro-madrigali a servizio di una storia epica e solenne.
Impossibile non citare il rallentamento centrale, dove un basso ipnotico funge da colonna alla voce narrante, mentre le funi dell'albero maestro richiamano l'attenzione con i propri lamenti, moltiplicati da lontani e minacciosi arabeschi di chitarra. Da assoluta antologia.
In conclusione...
Powerslave è uno dei picchi assoluti della produzione maideniana anni '80 ed anche uno dei lavori più influenti.
L'accoppiata iniziale Aces High\2 Minutes To Midnight e quella finale Powerslave\Rime Of The Ancient Mariner hanno aiutato a ragione la band a raggiungere l'olimpo, senza ovviamente dimenticare l'importanza che il (è proprio il caso di dirlo) faraonico "World Slavery Tour" del biennio '84-85 ha avuto in questo senso.
Lavoro Perfetto?? Non del tutto purtroppo. Se infatti gli episodi sopracitati sono di valore indubbio, è altrettanto vero che la parte centrale presenta decisamente più di un episodio sottotono rispetto al resto. La flessione nella parte centrale è riscontrabile semplicemente facendo attenzione durante le
listening-sessions o contando le volte che si riascoltano i singoli pezzi.
In ogni caso un ottimo lavoro di un'ottima band che ha cambiato il corso della musica rock e che ha marchiato per sempre la vita di tanti musicisti e non.
Ma sopratutto una eccellente fotografia che immortala un'epoca magica per il metal e la musica in genere, provocando nelle persone che hanno avuto la fortuna di assistervi un forte senso di nostalgia. E un grande disiderio di nascere prima in noi che non siamo stati ugualmente baciati dalla dea bendata.
VOTO:
Edited by Digirock - 12/10/2009, 13:56